Il Nemico


ALFREDO ORIANI

Il Nemico

Per non perdere l'intelletto incerte cose bisogna non averlo.

Lessing.

QUARTO MIGLIAJO

1894
L. OMODEI ZORINI, EDITORE
Portici Settentrionali, 23
MILANO


PROPRIETÀ LETTERARIA

Milano, 1894 — Tip. Wilmant di L. Rusconi.


PARTE SECONDA

[1]

I.

Quando giunsero al castello di Ourikow, acent'ottanta verste da Mosca, era circa mezzogiorno.

Per la vasta campagna la neve si stendeva altae bianca, senza che una sola ondulazione del terrenopotesse un istante arrestare lo sguardo. Avevanoviaggiato tre giorni su quel bianco, sottoun cielo plumbeo, tormentati da un vento leggero,che sferzava loro la faccia congelandovi l'alito.I cavalli, colla coda e la criniera sonanti didiacciuoli, sembravano avanzare fra una nuvoladi fumo vaporante dal loro lungo pelo, sul qualesi sarebbe mutata in brina al primo allentare deltrotto. Alti pali, a enormi distanze, segnavano ladirezione della strada; passavano poche vetture.La campanella ondulante sul dorso del cavallo dimezzo, gettando il proprio appello monotono nell'abbandono[2]gelido del paesaggio, vi destava unainvincibile malinconia. Loris guidava con manosicura i tre cavalli e non parlava col principe,sepolto dentro la pelliccia e sotto l'enorme berrettone,se non per chiedergli qualche indicazionesulla strada; davanti ad essi nessun punto,che potesse somigliare ad una meta. La neve, abbacinandoi loro sguardi, raddoppiava col propriocandore l'immensità di quel silenzio nonparagonabile nemmeno a quello del mare, ove leacque si muovono, e l'occhio va lontano soprauna mobile gamma di colori sino all'altro lidodel cielo.

I villaggi si distinguevano solo entrandovi,perchè gli occhi, stanchi di quella bianchezza,non potevano cogliere da lungi il rialzo dei lorotetti. Le loro isbe circolari, a distanza l'una dall'altra,cinte da un alto stecconato nereggiante fra laneve, lasciavano sfuggire qualche pennacchio leggerodi fumo, e tacevano. Gli abitanti vi dormicchiavanointorno alla stufa nel caldo; tuttele immondizie s'accumulavano diacciate e nauseantiagli usci per putrefarsi, quando i primiventi della primavera scioglierebbero la neve, maora testimoniavano sole della presenza degli uomini.In quell'inverno e per quelle steppe nessunaidea era possibile. Come radunare il popoloin quella stagione? Come deciderlo a uscire dalleisbe, mettendogli in cuore una passione, che ilgelo e il bianco dell'aria aperta non facesserovanire?

[3]Sopra ogni villaggio torreggiavano la chiesa eil castello; la cupola colorata dell'una, e le muradell'altro dominavano nella pianura, mentre leisbe si acquattavano loro sotto in una quiete ditane. Solo il castello e la chiesa scrollavano taloracolle campane quel silenzio, che nessun'altravoce sarebbe bastata a rompere oltre il breveraggio dello sguardo abbarbagliato. Il solco delleslitte e delle ruote tracciava la strada, i fiumigelati e scomparsi sotto la neve s'indovinavanoappena in un avvallamento del terreno, mentrealcune foreste lunghe, ma di bassissimo fusto,troppo cariche di neve per disegnare abbastanza visibilmentela loro intricata barriera, parevano pocopiù di un rialzo bucherellato, dietro il quale il

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