La ma padrona di casa — Ritratto d'un'ordinanza — Unincontro — Un caro pedante = (ALCUNEOSSERVAZIONI SULLO STUDIO DELLA LINGUA ITALIANA):La Lettura del Vocabolario — Appunti — Unaparola nuova — Consigli — Il viventelinguaggio della Toscana — Quello che si può impararea Firenze — Un bel parlatore = Dall'albumd'un padre — L'amore dei libri — ManuelMenendez (racconto) — In Sogno — Scoraggiamenti — Battagliedi Tavolino — Una visita adAlessandro Manzoni — Emilio Castelar — GiovanniRuffini.
EDMONDO DE AMICIS
PAGINE SPARSE
QUARTA EDIZIONE
MILANO
TIPOGRAFIA EDITRICE LOMBARDA
1877.
Proprietà letteraria.
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.... Non riprendeva, anzi lodava ed amava che gli scrittoriragionassero molto di sè medesimi; perchè diceva che inquesto sono quasi sempre e quasi tutti eloquenti, ed hannoper l'ordinario lo stile buono e convenevole, eziandio controil consueto o del tempo, o della nazione, o proprio loro. Eciò non essere meraviglia; poichè quelli che scrivono dellecose proprie hanno l'animo fortemente preso e occupatodella materia; non mancano mai nè di pensieri, nè di affettinati da essa materia e nell'animo loro stesso, nontrasportati d'altri luoghi, nè bevuti da altre fonti, nè comunie triti, e con facilità si astengono dagli ornamentifrivoli in sè, o che non fanno a proposito, dalle grazie edalle bellezze false, dall'affettazione e da tutto quello cheè fuori del naturale. Ed essere falsissimo che i lettori ordinariamentesi curino poco di quello che gli scrittori diconodi sè medesimi: prima, perchè tutto quello che veramenteè pensato e sentito dallo scrittore stesso, e detto conmodo naturale e acconcio, genera attenzione, e fa effetto;poi, perchè in nessun modo si rappresentano o discorronocon maggior verità ed efficacia le cose altrui, che favellandodelle proprie: atteso che tutti gli uomini si rassomiglianotra loro, sì nelle qualità naturali, e sì negli accidenti, e inquel che dipende dalla sorte; e che le cose umane, a considerarlein sè stesso, si veggono molto meglio e con maggiorsentimento che negli altri.
Leopardi — Detti memorabili di Filippo Ottonieri.
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Non posso pensare a Firenze, senza ricordarmidella mia buona padrona di casa di via dei ***, laquale m'insegnò in sei mesi più lingua italiana diquanta io n'abbia imparata in dieci anni da tutti imiei professori di letteratura, nati, come diceva l'Alfieri,là dove Italia boreal diventa.
Era una vecchietta simpatica, vedova d'un interpreted'albergo, buona come il pane, fiorentina finnel bianco degli occhi, operosa, assestata e pulitacome un'Olandese. Viveva d'una piccola rendita edi quel po' che guadagnava tenendo dozzina. Leggicchiava,giocava al lotto, faceva qualche visita,e passava quasi sempre la sera, sola come uno sparago,in un cantuccio della sua piccola camera ingombradi mobili vecchi, vicino a una finestra, dalla[8]quale si vedeva, di là dai tetti di molte case, lacima del campanile di Giotto.<