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LA NOTTE DEL COMMENDATORE

Racconto di

ANTON GIULIO BARRILI

CAPITOLO PRIMO.

Nel quale si vede che il diavolo non è brutto quanto si dipinge.

—Signora Zita!

—Signor padrone, comandi.

—Il mio tè.

—La servo subito.—

Questo era il breve dialogo che ricorreva ogni sera, intorno alledieci, e da anni parecchi, tra il signor Commendatore e la suagovernante; quegli dalla sua camera da letto, dove stava terminando dileggere i giornali, questa da una saletta vicina, dove stavaaspettando i cenni del padrone.

Per solito, quando scoccavano le dieci al pendolo dell'anticamera, ilsignor Commendatore avea finito, o stava per finire, il suo pastointellettuale; e in questo caso, studiava il passo, si fermava un po'meno in Russia, o in Baviera, o in Costantinopoli, o al Cairo, evolgeva a grandi giornate verso le beate regioni dove fioriscespontanea la carota recentissima e dove s'adagia la firma del gerenteall'ombra d'un telegramma apocrifo. Intanto, dimandava il suo tè,altro sonnifero schietto. La signora Zita si alzava allora dal suoseggiolone, su cui stava biascicando una terza parte di rosario, tantoper mettersi un po' di bene alla cassa di risparmio de' cieli; andavapel bricco dell'acqua calda in cucina; la versava nel vaso d'argento,su d'un pugnello di foglie della preziosa pianta cinese, e, portato ilvassoio con tutti gli annessi e connessi, lo deponeva sul tavolino,mentre il padrone aveva già avuto il tempo di dare un'occhiata, aimiracoli della tintura americana, ed anche alla notizia del capitanoFranklin, morto di fame coi suoi vent'otto compagni, vicino a moltisacchi di cioccolatta, certo per mancanza di frullo.

E lì, cascava un altro dialoghetto di questa conformità:

—Signor padrone, ecco il tè.

—Grazie; è fatto?

—Sì, se non lo vuol troppo carico. Sa che il medico ha detto…

—Sta bene, lo prendo subito.

—Comanda altro?

—No, grazie.

—Felice notte, signor padrone.

—Notte felice, signora Zita.—

Come vede il lettore, questi dialoghi non si distinguevano per troppavarietà. E da parecchi anni, l'ho detto, erano sempre gli stessi ognisera, salvo quando il signor Commendatore era guasto e mandava pelmedico. I suoi acciacchi li aveva e i suoi cinquantacinque non liaspettava già più.

Egli versava adunque il suo tè nella chicchera; vi faceva struggereper entro due pezzettini di zucchero; centellava la sua bevanda conreligiosa cura; indi, tra sospirando e ansimando, si toglieva dal suocantuccio presso il sofà, e andava a dar fondo in una poltrona aipiedi del letto, per ispogliarsi con suo comodo.

Il letto era a sopraccielo, colle cortine di un bel colore d'amarantoa fiorami, come i riquadri delle pareti e le coperte dei mobili, fattiall'antica, nella foggia del Cinquecento, ma imbottiti, se Dio vuole,alla moderna. Era un uomo di buon gusto, il signor Commendatore; inaltri tempi quel suo nido aveva meritato invidiabili elogi. Ora, a dirvero, non era più del tutto quello di prima. Certi canapè collespalliere imbottite e foderate di raso, certe scranne maritate a formadi èsse, ed altri elegantissimi nonnulla, su cui s'erano eserc

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