RACCONTO
DI
ANTON GIULIO BARRILI
SECONDA EDIZIONE
MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI
1886.
PROPRIETÀ LETTERARIA
RISERVATI TUTTI I DIRITTI.
Tip. Fratelli Treves.
[1]
ARRIGO IL SAVIO
L'ultimo giorno di gennaio dell'anno 1882, unsignore, alto della persona, dal volto abbronzatoe dai baffi grigi, scendeva di carrozza,sulle prime ore del mattino, come a dire frale otto e le nove, davanti ad un portone dellavia Nazionale, in Roma. Aveva l'aria assainobile, era vestito con severa eleganza e andavadiritto, con soldatesca balìa, come uncolonnello in abito cittadino, che sotto le spoglieinusitate lascia indovinare i suoi trent'annidi spallini. Entrato nell'androne, e osservatanon senza stupore la magnificenzadelle scale, ascese al secondo piano, doveera scritto, su d'una piastra di porcellana,“Cav. Arrigo Valenti.„
[2]— Cavaliere! — esclamò il signore dai baffigrigi. — O che diavolo ha fatto il mio signornipote, per esser nominato cavaliere? Dei debiti,m'immagino. E saranno certamente assai piùdi quelli che mi aveva lasciati sospettare la sualettera ad uno zio che non ha mai visto nèconosciuto. Ahimè! Prevedo, — conchiuseegli, sospirando, — che pagherò anche questabella piastra di porcellana del Ginori. —
Tirò allora la maniglia del campanello, eun minuto dopo fu aperto l'uscio da un servitorein mezza livrea.
— Chi cerca? — domandò questi.
— Il signor Arrigo Valenti.
— Il cavaliere, — ripigliò il servitore, battendosul titolo, — non riceve ancora.
— Ah, mi rincresce. Sono arrivato stamanecol treno delle sette, e credevo....
— Se il signore vuol lasciar detto il suonome....
— Volentieri; ecco qua. —
Così dicendo, il signore dai baffi grigi avevacavato di tasca il portafogli, per prendere unbiglietto di visita. Ma ci aveva troppi biglietti[3]di banca: e quelli di visita, o erano affogatinel mucchio dei loro più degni fratelli, oerano stati dimenticati a casa.
— Bene! — esclamò il signore, facendo unatto di rassegnazione, dopo due o tre d'impazienza. — Nonne trovo. Dite al vostro padroneche è passato a cercarlo Cesare Gonzaga. —
Il servitore sgranò tanto d'occhi, a malapena ebbe udito quel nome, e s'inchinò permodo da far credere che volesse piegarsi in due.
— Perdoni, Eccellenza!... Si dia la penad'entrare! —
Il signore sorrise sotto i baffi grigi ed entrò.Quell'altro, richiuso prontamente l'uscio, corsea sollevare il lembo di una portiera in fondoall'anticamera.
— Per di qua, signor marchese, per di qua! — dicevaegli, frattanto, inchinandosi da capo. — Questoè lo studio del padrone.
— Marchese! — brontolò il vecchio signore. — Perchi mi hai preso?
— Scusi, illustrissimo! Non è lei lo zio delcavaliere Valenti?
[4]— Suo zio, certamente.
— O allora?
— Allora saprai, — disse gravemente ilvecchio signore, — che si può essere zii, senzaessere marchesi.
— Ah, ah, sicuro! — rispose il servitore,facendo bocca da