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E. TREVES & C. EDITORI 1868
Il presente romanzo, di proprietà della Ditta E. TREVES e C., editoridella Biblioteca Utile, è messo sotto la salvaguardia della leggesulla proprietà letteraria.
Milano—Tip. Bezza.
Siamo in una stanzaccia ampia, alta, nuda, illuminata da un lucernariodi vetro a mezzo il soffitto, colle pareti grigiastre tappezzate diquadri abbozzati, di braccia e di gambe di gesso, di pipe e diragnateli: in una parola, lo studio e l'abitazione di un pittore. Nonoccorre dire che ci troviamo sotto le tegole del tetto, al di sopra diquattro piani d'una gran casona, alveare umano che alberga unaquantità di famiglie.
Questo studio è anche la dimora del pittore—che sto perpresentarvi—e della sua famiglia; poichè il nostro eroe, per dirvelaad un tratto, possiede un gran buon cuore, buon umore da venderne,poco coraggio, non troppo ingegno, povere fortune, una moglieborbottona e quattro bimbi.
I misteri famigliari sono nascosti agli occhi dei profani chepenetrano nello studio, da un lungo paravento, di dietro il qualesuonano quasi senza intermittenza grida e pianti di bambini, rampogneed impazienti esclamazioni della madre, e fanno di quando in quandoirrefrenabile sortita i tre più grandicelli ragazzi a cavallo delbastone del papà, dell'ombrello della mamma e dell'appoggiamano perdipingere.
Al momento in cui vi prego di penetrar meco nello stanzone delpittore, le fortune di Antonio Vanardi—questo è il nomedell'artista—sono più povere che mai. È pieno di debiti; da ogniparte da cui si volga corre rischio di vedere la faccia corrucciata diun creditore che non può pagare; e più corrucciato e più inesorabiledi tutti fra questi creditori lì il padrone di casa, a cui Vanardideve due semestri d'affitto, e non sa dove battere la testa per averedi che pagarlo.
Questo padrone di casa—come tutti quelli delle commedie, dei drammi edei romanzi—è un uomo che non conosce guari dove stia di casa lapietà, e non capisce che un'attinenza verso i suoi locatari: ricevernedanaro per la pigione a tempo debito e scrivere loro una buonaquietanza colla sua buona firma sotto, nella sua scrittura commercialeche finisce sempre l'ultima lettera con un ghirigoro pieno dieleganza: Fiorenzo Marone.
Benchè egli abbia questo nome illustre, non lo crediate giàdiscendente dal celebre poeta mantovano. Di Virgilio il brav'uomo nonaveva inteso mai nemmeno a parlare, ed i versi non sapeva che razza dibestie si fossero.
To', poichè il signor Marone mi è capitato qui sotto il becco dellapenna, ci stia un poco; ed abbiate pazienza, cari lettori, mentr'io miindugio un tantino a schizzarvene il ritratto alla sfuggita.
È un uomo oltre i sessanta, grande, grosso, a faccia di villano emaniere uguali, a s