GRAZIA DELEDDA
ROMANZO
E dopo che lo avranno flagellato lo uccideranno.....
Ed essi nulla compresero di tutto questo.....
Luca, XVIII, 34.
1902
Casa editrice Nazionale
ROUX E VIARENGO
TORINO-ROMA
PROPRIETÀ LETTERARIA
(2447)
1904. In casa Porru, nella camera dei forestieri,c'era una donna che piangeva. Seduta per terra, vicinoal letto, colle braccia sulle ginocchia rialzate ela fronte sulle braccia, ella piangeva singultando,scuotendo la testa come per significare che non ciera, non c'era più alcuna speranza. Le sue spalle rotonde,il suo dorso ben fatto, coperto dal pannogiallo d'un corsetto stretto, s'alzavano e si abbassavanocome un'onda.
Intorno era quasi buio: la camera non aveva finestra;la porta spalancata sopra una loggia di mattonis'apriva su uno sfondo di cielo cenerognolo che andavasempre più oscurandosi. Su quello sfondo brillavauna piccola stella gialla lontana, lontana; e nelcortile s'udiva un grillo zirlare e la zampa d'un cavallo,di tanto in tanto, sbattersi sulla pietra.
Una donna bassa e grossa, in costume nuorese,con un gran volto di vecchio grasso, apparve sulla[8]porta, con in mano una candela di ferro a quattrobecchi, in uno dei quali ardeva un lucignolo nuotantenell'olio.
— Giovanna Era, — disse con voce grossa e rude, — chefai lì al buio? Sei lì? Che fai? Mi pare chetu pianga! Tu sei matta, in verità mia, tu seimatta!
L'altra cominciò a singhiozzare convulsivamente.
— Ah! Ah! Ah! — disse la donna grossa, avanzandosi,come meravigliata e scandolezzata. — Loavevo detto io che piangevi! Perchè piangi? Tuamadre è giù che ti aspetta, e tu piangi lì come unamatta che sei.
L'altra continuò a piangere più forte. La donnagrossa appese il lume ad un lungo chiodo sul muro,si guardò attorno e cominciò a girare attorno allapiangente, cercando invano parole per confortarla.Non riusciva a dirle altro che:
— Ma sei matta, Giovanna, sei matta!
La camera dei forestieri (così è chiamata a Nuorola stanza che in tutte le famiglie all'antica vieneconservata per gli amici ospiti dei paesi vicini), eravasta, bianca, rozza, con un gran letto di legno, untavolino coperto da un tappeto di percalle e adornodi chicchere e tazze di vetro; con moltissimi quadrettiappesi in alto sulle pareti, quasi vicini al soffittodi legno non tinto. Dalle travi del soffitto pendevanograppoli d'uva raggrinzita e di pere gialleche piovevano una sottile fragranza. Bisaccie di lana,colme, dritte, stavano qua e là per terra.
La donna grossa, che era la padrona di casa,[9]prese una di queste bisaccie, la portò più in là, poila riportò sul posto donde l'aveva presa.
— Ecco, finiscila, — disse ansando per lo sforzofatto, — che cosa vuoi farci? Non bisogna poi disperarsi;che diavolo, colomba mia; se il pubblicoministero ha chiesto i lavori forzati, non vuol direche i giurati siano cani rabbiosi come lui...