Colei che non si deve amare


GUIDO DA VERONA

Colei che non
si deve amare

ROMANZO

IX.ª EDIZIONE

(Dal 131º al 180º Migliaio)

R. BEMPORAD & FIGLIO — EDITORI — FIRENZE
MCMXX


PROPRIETÀ LETTERARIA

I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per tutti i paesi

Milano — Tip. Pirola & Cella di Primo Cella


[1]

I

Dal primo all’ultimo giorno della sua vita Stefano delFerrante non ebbe che rovesci di fortuna. Il mondo èpieno di queste vittime oscure, che camminano per unlento calvario e non cadono mai del tutto sotto il pesodella loro croce.

Gli erano morti, nella sua prima età, il padre e lamadre, durante una morìa di quell’anno che mietè moltevite. Un congiunto lo raccolse nella propria casa perallevarlo con i figli suoi. Non fu misericordia; Stefanoereditava qualche bene di fortuna, che il congiunto glidilapidò. Egli lo venne a sapere più tardi; fu consigliatoanche ad intentargli una lite, ma non ne fecenulla. Era un uomo soave e riconoscente, che non amavamolestare il prossimo nè gettarsi a capofitto nel gran pelagodella carta bollata. Studiò con fatica, ma studiò;non ebbe invidie piccole nè ambizioni grandi; fu sin dalprincipio un uomo laborioso ed umile. Prese una laureain chimica, laurea che lo costrinse ad essere uno spostato;si mise a speculare e perdette, a commerciare e fallì.

Egli diceva di sè stesso con grande rassegnazione:«Ho avuto un grave torto: quello di venire al mondo.»E come ricchezza, nella sua storia povera, non ebbe cheun amore; uno di quegli amori caparbi e malinconici chesi accendono talvolta nelle anime lievi.

Prima di allora non aveva conosciute altre donne chequelle incontrate nelle case di piacere alla vigilia deigiorni festivi, ed aveva pur intessuta qualche tresca fugacecon le serve amorose che addobbano di farsetti opulenti[2]le finestre dei quarti piani, o con le vispe sartineche vanno per via come coditrémole nelle sere d’Aprile,quando i tigli si mettono in fiore.

Ma la sorte, la mala sorte, gli fece incontrare un giornocolei che doveva subitamente irrompere come una fieratempesta nel suo cuore tranquillo; e con la risoluzionedei timidi Stefano Ferrante la sposò.

Era una siciliana e si chiamava Grazia; il colore, il saporedella sua terra calda eran rimasti in lei, ne’ suoiocchi vivi, nella sua femminilità lussuriosa, nella sua vocevibrante, nel suo spirito irrequieto.

Vedova d’un architetto, senza figli, senza ben di Dio,l’opinione pubblica non era indulgente con lei. Dicevanoche avesse calcate le scene dei teatri di varietà prima diandare a nozze; che avesse avuto un processo, e clamoroso,ma finito in nulla come tutti i processi clamorosi,per certe bazzecole del buon costume; che fosse stataperfino rapita, e che taluni gentiluomini di laggiù se lafossero contesa aspramente col denaro incruento e con lelame affilate.

Questi fieri isolani son fra noi gli ultimi custodi dellanostra bella tradizione cavalleresca: sanno battersi ancora,e degnamente, anche per una donna che non ne valgala pena.

Grazia era dunque bellissima, capricciosa, dissoluta;amava il lusso, gli svaghi, le avventure d’amore. Si diedea Stefano una sera ch’egli le andò a

...

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