NOTE DEL TRASCRITTORE:

—Corretti gli ovvii errori tipografici e di punteggiatura.

—Sono state estrapolate dallʼindice generale dei nomi le voci riguardantiil presente volume; lʼindice completo (senza link) è stato mantenutonel terzo volume.

—La copertina è stata creata dal trascrittore usando il frontespiziodellʼopera originale; lʼimmagine è posta in pubblico dominio.

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SCRITTORI DʼITALIA


G. BOCCACCIO

OPERE VOLGARI

XIV


[iv]
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GIOVANNI BOCCACCIO

IL COMENTO ALLA DIVINA COMMEDIA

E GLI ALTRI SCRITTI INTORNO A DANTE

A CURA DI

DOMENICO GUERRI

VOLUME TERZO

BARI

GIUS. LATERZA & FIGLI

TIPOGRAFI-EDITORI-LIBRAI

1918

[vi]


PROPRIETÁ LETTERARIA


GIUGNO MCMXVIII—49328

[1]

III

CONTINUAZIONE

DEL

COMENTO ALLA “DIVINA COMMEDIA”


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[3]

CANTO NONO

I

Senso letterale

[Lez. XXXV]

«Quel color, che viltá di fuor mi pinse», ecc. Continuasil’autore in questo canto al precedente in cotal guisa: egli hadimostrato davanti come Virgilio, essendogli stata serrata laporta della cittá nel petto, egli tornasse a lui con sospiri e conrammarichii; e dobbiam credere che, per la turbazione presadi ciò, egli altro colore che l’usato avesse nel viso; il qualcolore nel principio di questo canto dice l’autore che egli ristrinsedentro, veggendo lui per viltá aver similmente mutatocolore. E dividesi il presente canto in cinque parti: nellaprima delle quali, essendo l’autore per certe parole di Virgilioentrato in pensiero, muove un dubbio a Virgilio, e Virgilio glielesolve; nella seconda discrive come sopra le mura di Dite vedessele tre furie e udissele gridare; nella terza pone la venutadel Gorgone, e come da Virgilio gli fossero gli occhi turati,accioché nol vedesse; nella quarta discrive la venuta d’un angelo,per opera del quale scrive essere stata la porta della cittáaperta; nella quinta e ultima pone come nella cittá entrassero,e quivi vedessero in arche affocate punire gli eresiarche.La seconda comincia quivi: «E altro disse»; la terza quivi:—«Volgitiindietro»; la quarta quivi: «E giá veniva»; la quintaquivi: «E noi movemmo i piedi».

[4]

Dice adunque nella prima parte cosí: «Quel color, che viltá»,cioè la palidezza, «di fuor», cioè nel viso, «mi pinse, Veggendoil duca mio tornare in volta». Estimava l’autore che idemòni, per le parole di Virgilio, dovessono liberamente darloro l’entrata, si come gli aveano i demòni superiori lasciatiscendere

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